Le tracce di un addio

C’eravamo riviste dopo tanti anni a una riunione, con una reciproca voglia di diventare amiche, per la prima volta invero perché lei era più che altro la cugina di alcune mie amiche e l’amica di amiche comuni. Insomma quel tipo di relazione tutta palermitana in cui non hai bisogno di chiedere e di conoscere. Di lei sapevo gioie e sofferenze e nel suo sguardo riconoscevo la convivenza, rassegnata e talvolta ironica, con la malattia cronica. Non perché i suoi fossero occhi da malata, ma perché attraverso di essi potevo vedere la fatica delle attese all’ASL, dell’approvigionamento dei farmaci, della comunicazione con i medici. Quella fatica che non si racconta a nessuno, per pudore, per paura di essere tediosi, perché nonostante tutto ringrazi l’esistenza di quei medici e di quei farmaci gratuiti e ti senti pure in colpa per costare tanto alla sanità pubblica.

Eravamo già amiche su facebook, annusandoci da qualche mese, mettendoci reciproci “mi piace”, commentando ognuna gli aggiornamenti e i link dell’altra. Lei cambiava spesso la sua immagine del profilo scegliendo con estrema cura quella che intrerpretava l’umore del momento, poi sceglieva citazioni letterarie, colte e raffinatissime e quelle gocce di saggezza quotidiana diventavano per me carburante necessario per iniziare la giornata. Abbiamo partecipato insieme ad una piccola vicenda politica e così ci siamo viste, da sole o con altre e abbiamo iniziato una timida relazione amicale che si arricchiva di telefonate e confidenze, fra le ultime quella sulla natura della sua malattia, tanto per ribadire quanto lontano fosse in lei ogni desiderio di autocommiserazione.

Il suo stare alla finestra a guardare il mondo dipendeva dalle sue forze sempre più esigue, forse anche dalla sua natura discreta. Però l’estate scorsa, la sua ultima estate, l’ha voluta vivere tutta, ha voluto mettersi alla prova, magari per capire quello che non poteva più fare, con la consapevolezza di cogliere attimi, briciole di vita, sentirsi parte di questo mondo. Devo ammettere che lo stare alla finestra era una situazione che ci accomunava, sebbene per ragioni diverse, ma devo confessare che facebook lo ha reso molto interessante.

E’ curioso che un social network nato per condividere aggiornamenti su parties & happy hours, possa tanto facilitare la vita a chi si accommiata da questo mondo, consentendo una sorta di terminalità delle relazioni sociali. Purtroppo sono tante ormai le bacheche dei miei amici che se ne sono andati e i freddi messaggi del social network risultano davvero grotteschi: “aiuta … a trovare i suoi amici” “a … piace quella pagina” “scrivi sulla bacheca di …” così come i casi di amici che hanno voluto condividere ogni attimo della propria malattia, perfino scherzarci sopra.

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