L’ultimo miglio

Più tristi dei morti in guerra furono quelli centrati da un cecchino giusto nel giorno dell’armistizio, e noi siamo alla fine di una tragedia globlale, ma in quell’ultimo miglio di cui non si conosce il tempo di percorrenza. Nel frattempo un virus-cecchino cercherà di uccidere ancora centinaia di persone mentre a noi per impedirlo sarà solo chiesta l’immobilità, e la pazienza, ad avercene ancora.

Ma perché proprio quando si intravede una luce in fondo al cammino, le forze sembrano abbandonarci? Succede dopo un ricovero ospedaliero, probabilmente alla fine di una detenzione, di un viaggio troppo lungo, di un calvario di qualsiasi genere. Succede che a un passo dalla fine ti accorgi di non farcela più, mentre il peso di ciò che hai passato ti piomba sulle spalle e ti fa sentire indifeso, fragile, incredulo sulla capacità di riuscita. Dieci mesi di questo anno spesi nel tentativo di farsi coraggio, rassicurarsi, paragonarsi a tragedie peggiori con l’effetto soverchio dei sensi di colpa (ce ne fosse bisogno), a volte cadendo nell’evitamento. Insomma chi non ha subito direttamente il virus pensava di essere forte, ma poi è bastata la prospettiva di una fine, di là nel tempo, non si sa precisamente quando, perché ci rendessimo conto di quanto abbiamo sofferto, di tutte le cose a cui abbiamo rinunciato, di quanto sarà difficile rientrare nella normalità, di quanto siamo invecchiati. Ma sono pensieri silenti, per non ferire chi la sofferenza l’ha subita in modo devastante.

E in questo frangente si presenta puntuale il Natale, a ricordarci che il suo è il momento delle verifiche mentre tutti presenteremo foglio bianco, e coloro che lo temono e gli altri che lo aspettano potranno lamentarsi allo stesso modo.

Perché se questo virus ci ha fatto conoscere il dramma della solitudine, è tristemente vero che a soffrire non siamo soli. Una sofferenza globale che neanche s’era conosciuta durante le guerre mondiali. L’umano come singolo e come umanità avrà tempo per riflettere su questa condizione.

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